La nuova frontiera del marketing è il neuromarketing.

Il neuromarketing, come si evince dalla parola stessa, è una disciplina in cui vengono applicate le pratiche neuroscientifiche al marketing. Tramite il neuromarketing si analizzano quindi i comportamenti involontari e i processi irrazionali che avvengono nella nostra mente quando guardiamo un contenuto pubblicitario. Utilizzando questi studi si mira ad analizzare e rilevare quali tra questi processi irrazionali influenzi il comportamento dei consumatori e li predisponga all’acquisto.

Studi simili sono stati effettuati sin dagli anni 80 ma la nascita di questa disciplina si fa risalire al 2002 quando Ale Smitd ne descrisse i processi e le metodologie di applicazione. Smitds si chiese se c’erano dei comportamenti inconsapevoli che ognuno di noi compie ogni qualvolta si avvicina ad un contenuto pubblicitario. Voleva indagare se ci fossero delle reazioni scientificamente interpretabili che abbiamo quando il nostro cervello si accorge di essere bersagliato da contenuti pubblicitari. Modificare il contenuto in relazione al nostro comportamento poteva rappresentare secondo lui la chiave di volta che avrebbe portato una rivoluzione nel marketing tradizionale. Provate ad immaginare se si riuscissero davvero ad interpretare tutti questi comportamenti involontari, se ci fosse una sorta di decalogo, delle regole che indicassero come definire al meglio il messaggio pubblicitario partendo proprio dai comportamenti involontari dei consumatori, sarebbe l’inizio di una nuova era del marketing. Se si potessero rilevare e misurare questi cambiamenti nei consumatori si potrebbe davvero parlare di marketing 2.0.

C’è da dire che anche nel marketing tradizionale è chiaro da molti anni che i contenuti “emozionali” sono quelli che fanno più breccia nella mente dei consumatori. Collegare uno spot pubblicitario a belle emozioni, tramite delle immagini o musiche e ultimamente anche degli odori o addirittura dei sapori gradevoli o che ci riportino alla memoria sensazioni gradevoli predispone il consumatore all’acquisto di un prodotto. Ma il marketing tradizionale è puramente empirico, con il neuromarketing si tenta di spiegare scientificamente quello che già era noto ma basato sull’eperienza.

In un certo qual senso si tratta di un copione già scritto, qualcosa di già visto nella storia della scienza. Il metodo scientifico vuole che “l’esperimento sia ripetibile e che dia sempre i medesimi risultati attesi” quindi si tenta adesso di comprendere se effettivamente ad un determinato messaggio possa corrispondere una altrettanto determinata azione del consumatore e se ci siano differenze di risposta tra i vari consumatori. Ma spingiamoci leggermente oltre ed esaminiamo quali potrebbero essere le conseguenze di tale studio. Sicuramente chi riuscirà a scrivere il famoso decalogo si arricchirà perché le multinazionali del marketing faranno a gara per accaparrarselo ma andiamo oltre, la ripercussione più importante sarebbe proprio quella sui messaggi stessi: i messaggi del marketing tradizionale sono identici per tutti, vanno a pioggia, per il semplice fatto che non conoscono il consumatore che hanno di fronte, Quindi il cartellone in metropolitana o in tangeziale sarà sempre lo stesso sia che a leggerlo sia un ragazzo di 12 anni che una vecchietta. Con gli spot in TV ein radio si è cominciato a restringere il cerchio: gli spot per i ragazzini venivano mandati in onda il pomeriggio quando era più probabile che davanti alla tv ci fosse un bambino o un adolescente e quelli per le vecchiette la sera o la mattina. Con l’avvento dei social l’imbuto si è ristretto ancora: con le tecniche di remarketing è possibile far visualizzare un prodotto solo a chi in quel momento ne ha bisogno. Ed eccoci arrivati al neuromarketing: sarà possibile far comparire degli spot ad hoc per ogni singolo consumatore e a differenza del remarketing che si basa sulle ricerche fatte sui social e sui motori di ricerca il neuromarketing permette una precisione ed un’efficacia migliaia se non milioni di volte superiori. In teoria si potrebbe arrivare ad avere spot con milioni di varianti e che si adattino di volta in volta a chi li sta guardando.

Quindi è fatta! Il marketing tradizionale ha davvero le ore contate?! Non proprio. Come spiega Giampiero Lugli nel libro “Emotions tracking: come rispondiamo agli stimoli di marketing” «queste nuove tecniche di indagine non sostituiscono le vecchie, ma le completano. Infatti, una piena comprensione del comportamento umano richiede anche la conoscenza della costruzione individuale e sociale della realtà, che si può ottenere solo con le tecniche dell’intervista». Quindi forse ci siamo spinti molto in la con la fantasia e probabilmente per qualche tempo ancora rischieremo di essere fermati per strada per ricevere un’intervista su cosa consumiamo, quando lo facciamo e perché lo facciamo.

Ma non è finita qui: il neuromarketing ha tantissime implicazioni etiche. Si andrebbe infatti a studiare una parte molto “intima” del nostro cervello, chi otterrebbe questi dati potrebbe riuscire forse a manipolare la volontà delle persone. Senza essere troppo catastrofici facciamo l’esempio che questi dati finiscano nelle mani di una multinazionale che produce tabacco o altri prodotti potenzialmente dannosi per la salute umana. Il marketing, anzi le tecniche di marketing, non possono essere utilizzate solo per vendere prodotti ma anche per convincere i “consumatori” a fare qualcosa, insomma a compiere delle azioni e se questi dati anziché nelle mani di una multinazionale del tabecco cadessero nelle mani di un’organizzazione terroristica?

Beh forse adesso abbiamo davvero esagerato, vi lasciamo con una frase del professor Russo Direttore Scientifico del Centro di Ricerca Behavior and BrainLab IULM che dice: «Il neuromarketing non manipola ma semplicemente misura quello che fa il marketing».

Per adesso…